27 Gennaio – Giornata della Memoria
Il 27 gennaio si celebra la Giornata della memoria, data in cui fu liberato il campo di sterminio di Auschwitz. Come ogni anno, anche la nostra Amministrazione si unisce a questa celebrazione, insieme alla cittadinanza. In questo 2024, la Giornata della memoria sembra non essere più una “semplice” ricorrenza, una commemorazione da celebrare più o meno stancamente.
I venti di guerra che soffiano in Medio Oriente hanno ancora una volta rinfocolato l’antisemitismo, che nel Mondo e anche nella nostra civilissima Europa sembra non essere mai sparito del tutto. Anzi, forse bisognerebbe ammettere in tutta onestà che sembra non essersene mai andato.
E allora, che cosa può fare la lettera di un sindaco o di un assessore per non risultare banale, per non essere vuota retorica? Mi sono interrogata a lungo su che cosa scrivere e penso che, in fondo, le mie parole, scritte da un’italiana, non ebrea, a quasi 80 anni di distanza, rischiano solo di suonare false.
Decido allora di passare la parola ad altri, che meglio di me sanno e hanno il diritto di raccontare.
Vorrei riprendere quindi un libro poco conosciuto sulla Shoah, “La notte” di Elie Wiesel, che racconta la storia vera di un giovane ebreo ungherese deportato ad Auschwitz insieme a suo padre.
All’inizio del libro si racconta un fatto curioso. Nella cittadina del protagonista, Sighet, da anni vive un uomo povero e un po’ matto, da tutti conosciuto come Moshé lo Shamash, tuttofare della sinagoga, che offre i propri servizi in cambio di un pasto caldo. Moshé è un mistico folle, benvoluto da tutti, e ovunque passi porta il buonumore. Un giorno, insieme agli ebrei stranieri di Sighet, viene portato via dalle autorità.
Per un po’, di lui non si sa più nulla. Poi, riappare in città. Racconta una storia assurda: i tedeschi hanno preso gli ebrei che erano con lui, li hanno portati nella foresta, li hanno costretti a scavare una fossa e li hanno abbattuti con un colpo alla nuca, uno per uno, neonati compresi. Solo lui, per un miracolo inspiegabile, rimane ferito a una gamba, si finge morto e si salva.
Purtroppo, a Sighet nessuno crede a Moshé. E quelli con cui Moshé parla sono tutti ebrei. “E, tu Moshé, perché sei l’unico che si è salvato?”, sembrano chiedere gli occhi dei suoi interlocutori quando lui racconta la sua storia, che in quel 1941 sembra soltanto il racconto assurdo di un matto. Così nessuno lo ascolta: troppo dura da digerire la storia di Moshé, troppo dura da credere. Ma lui non sorride più, e piange. Vaga in continuazione per la città, disperato con la sua verità solitaria.
Quando a Sighet, tempo dopo, i nazisti arriveranno veramente, per portarsi via tutti gli ebrei, Moshé sparirà nel nulla come un fantasma, come un profeta inascoltato dell’Antico Testamento…
Oggi abbiamo tantissimi Moshé ad avvisarci e a ricordarci la stupidità dell’antisemitismo, dell’odio e della guerra. Basterebbe leggere o guardare con attenzione TV o giornali.
A questo punto, a noi la domanda. Che cosa vogliamo fare? Aspettare anche noi l’arrivo del prossimo vagone merci dalle pareti di legno cieco o sforzarci di ricordare?
Federica Berlanda
Assessore alla Pubblica Istruzione
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- Date:
- sabato 27 gennaio 2024
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